Armenia, Kazakistan e perfino Bielorussia: quanti problemi per Putin nel suo cortile

Su Mosca soffia aria fredda, e non solo a causa dell’inizio della stagione invernale.

Sembra infatti che gli alleati più consolidati della Federazione Russa, unica erede dell’URSS secondo l’interpretazione della storia di Putin, che sono proprio gli Stati nati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, si stiano lentamente allontanando dallo zar Vladimir I , anche se apparentemente destinato a vincere la sua quinta (su 5) competizione elettorale per la presidenza della Russia nel prossimo marzo, anche grazie alla tempestiva scomparsa (più o meno agevolata) di ogni teorico potenziale concorrente.

Infatti, dopo la sorprendente adesione del Kazakistan alle sanzioni europee relative al divieto di esportazione verso la Russia di diversi prodotti con potenziale uso militare (di cui si riporta un articolo del 22 ottobre), è ora la volta di Bielorussia e Armenia. nel dispiacere al grande fratello russo, visto che negli ultimi tempi guardano troppo a ovest, almeno per i gusti del nostro Vladimir.

Per spiegare l’irritazione del Ministero degli Esteri russo nei confronti del suo irrequieto satellite armeno, deluso a fine settembre dalla mancata fornitura di armi pagate per 400 milioni di dollari dalle industrie russe (che non hanno restituito i soldi), tra le altre cose essendo esploso il conflitto con l’Azerbaigian, c’è una notizia di Ria Novosti (nota agenzia di stampa russa), pubblicata il 15 novembre, secondo la quale l’affabile portavoce Maria Vladimirovna Zakharova avrebbe criticato il tentativo del primo ministro armeno Nikol Pashinyan “sedersi su due sedie”. Il governo di Yerevan, infatti, è accusato, da un lato, di trarre vantaggio dall’adesione all’organizzazione economica Eaeu (Unione Economica Eurasiatica, che unisce 5 paesi: Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan), e dall’altro di intraprendere iniziative ostili nei confronti della Russia.

Il leader russo ha fatto esplicito riferimento al rifiuto del primo ministro armeno di partecipare alla riunione dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO, l’equivalente della NATO che unisce i paesi dell’ex Unione Sovietica sotto la guida della Russia), alle forniture di armi agli occidentali ricevuti dall’Armenia, nonché la nascente amicizia di Yerevan con Kiev, che rappresentano per Zakharova “anelli di un’unica catena”.

A queste circostanze si aggiunge (come ricordato anche nell’articolo del 22 ottobre) il discorso di Pashinyan tenuto il 17 ottobre al Parlamento di Strasburgo, dove ha chiesto di “essere il più vicino possibile all’Ue”.

Insomma, secondo quella simpatica Maria Vladimirovna “l’Occidente sta cercando di strappare l’Armenia alla Russia”, dopo esserci più o meno riusciti con l’Ucraina.

Questa considerazione è confermata da Garik Keryan, capo del dipartimento delle istituzioni e dei processi politici dell’Università statale di Yerevan, intervistato dal quotidiano Eurasia (https://eadaily.com), secondo il quale “nella regione del Caucaso meridionale è in corso un grave scontro tra gli interessi geopolitici dell’Occidente e della Russia”.

Ma le preoccupazioni per la diplomazia russa non finiscono qui, come riporta un interessante articolo apparso sul quotidiano Izvestia del 15 novembre, scritto da Igor Karmazin, che dà conto di un’evoluzione inaspettata e sconcertante nel comportamento del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko , registrato negli ultimi mesi.

Un esempio lampante di questa evoluzione si è verificato il giorno dell’Indipendenza polacca (11 novembre), quando il leader bielorusso ha dichiarato di voler tendere una “mano amichevole e cooperativa” a Varsavia, affermando poi che “solo insieme, passo dopo passo, possiamo contribuire a superare il conflitto nella nostra regione. La parte bielorussa è pronta per questo”.

In breve, se la Bielorussia fosse un maschio e la Polonia una femmina, si potrebbe dire che la prima ci prova con la seconda.

Si rimane ancora più sbalorditi, continuando a leggere l’articolo sul giornale di Mosca, quando si apprende che negli ultimi tempi il leader bielorusso si è rivolto regolarmente al popolo e alla leadership polacca. Ad esempio, il 3 novembre, secondo il quotidiano moscovita, Lukashenko ha addirittura affermato che “bielorussi e polacchi sono praticamente un solo popolo”.

In realtà, il tentativo di riavvicinamento con i suoi vicini da parte dell’eterno padrone della Bielorussia è iniziato nella primavera del 2023, quando questo paese ha introdotto un regime di esenzione dal visto con i paesi confinanti dell’UE.

C’è stata però un’accelerazione nelle ultime settimane, visto che in ottobre l’agenzia di stampa statale BelTA ha lanciato una versione del sito in polacco, poi riproposta su Telegram e YouTube, mentre a novembre anche la radio statale bielorussa ha iniziato a trasmettere notizie in polacco.

Insomma, come ammette il giornalista di Izvestia “la questione non si limita alle sole dichiarazioni… [tanto più che] I funzionari dei media bielorussi affermano che questi progetti aiuteranno le persone a capirsi meglio…”.

La sensazione di stare leggendo un articolo di fantascienza, piuttosto che un articolo di giornale, diventa più forte quando si scopre che il presidente bielorusso ha recentemente accennato alla sua disponibilità a fare alcune concessioni nei confronti degli oppositori incarcerati…..

La goccia che ha fatto traboccare il vaso, tuttavia, è stata l’invito di Lukashenko alla Polonia a inviare osservatori alle esercitazioni della CSTO, chiamate “Combat Brotherhood” (un nome senza dubbio sospetto), che si sono svolte all’inizio di settembre in Bielorussia.

Questo comportamento ha colto di sorpresa i polacchi, i quali hanno risposto che consideravano l’invito più un “atto di propaganda” e che non poteva essere preso sul serio.

Ma come è possibile questo ‘turismo aperto’ di Lukashenko verso alcuni Paesi dell’Ue?

Premesso che, per trovare una risposta, bisognerebbe entrare nel cervello di una persona che, in termini di attaccamento alla poltrona, farebbe impallidire anche i nostri stessi campioni, tanto da essere disposto a tutto, e il Al contrario di tutto, non è da escludere che il dittatore bielorusso abbia cominciato a percepire un indebolimento del suo garante (nel senso che gli garantisce la permanenza al potere), cioè di Putin, o meglio, della Federazione Russa.

D’altronde, se è vero che la Russia può ancora contare su paesi in cui la democrazia è una chimera (vedi Corea del Nord, Iran o la stessa Cina), è anche vero che molti dei paesi vicini, che hanno ormai una struttura democratica piuttosto robusta istituzioni, potrebbero nutrire il sospetto che, una volta chiusa in qualche modo la vicenda ucraina, la Federazione Russa comincerà a rivolgere le proprie mire espansionistiche verso altre repubbliche ex sovietiche, visto il sogno dichiarato di Putin di ricostituire l’URSS.

Ciò spiega anche perché i rapporti tra le repubbliche centroasiatiche e i Paesi europei si stanno intensificando, come dimostra la recente visita del presidente Mattarella in Uzbekistan, preceduta di pochi giorni da quella del presidente francese Macron nella stessa nazione e in Kazakistan.

A tutto ciò si aggiunge il fatto che non solo l’Ucraina ha presentato ufficialmente richiesta di adesione all’UE, avviando così il relativo processo, ma anche la Moldavia, ex repubblica dell’URSS, a disagio anche con l’enclave russa della Transnistria, ha fatto lo stesso, muovendo anche i primi passi per entrare a far parte della grande famiglia di Bruxelles.

Amaro nel fondo (per Putin), anche la Georgia (patria dell’idolo di Vladimir, un certo Stalin, anche lui piuttosto riluttante a cedere il potere) potrebbe presto diventare un altro paese candidato all’adesione all’Unione Europea.

Insomma, se, invadendo l’Ucraina, Putin si fosse illuso di espandere la sua sfera di influenza e allontanare l’Europa, tutto fa pensare che accadrà esattamente il contrario.

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