AGI – No, non veniva dalla Germania post-nazista portando la sua conoscenza in fatto di missili e razzi: semmai si nascondeva tra i buggy sogni di qualche trama nostalgica, forse entusiasta di Trujillo, Colui che avrebbe fatto saltare in aria il mondo con i suoi abitanti. Lo stipendio infernale chiamato The End of the World Machine non sarebbe stato attivato a causa di un tre stelle convinto che i comunisti stessero avvelenando la sua acqua minerale. Molto meno sarebbe bastato: un paio di stelle scure o poco di più, magari nascoste in qualche caserma periferica o in qualche ufficio del Ministero della Difesa di via XX Settembre. Quando John Fitzgerald Kennedy lo lesse in un rapporto segreto, alla vigilia del terribile pazzo della Baia dei Porci, dovette prendere una decisione difficile. Fu così che grazie al dottor Stranamore nascosto in Italia, tutto cambiò nella Guerra Fredda: la dottrina nucleare, i rapporti tra USA e URSS, persino gli equilibri interni della NATO. Potere straordinario di un uomo che non è mai esistito o, se è esistito, molto meno somigliante al generale McArthur che, piuttosto, al colonnello Buttiglione, l’ufficiale sconcertato dell’esercito italiano creato da Mario Marenco come caricatura del mondo militare. È quanto emerge dai nuovi documenti degli Archivi Nazionali degli Stati Uniti.
È stato detto della Baia dei Porci, ma la circostanza da sola non fornisce il quadro generale. In quel momento, infatti, Kennedy si trova chiuso tra le pressioni dei repubblicani al Congresso, che lo accusano di essere “tenero col comunismo”, e un Nikita Khrushchev che lo considera e lo tratta come un ragazzino viziato. La NATO è in crisi: il generale De Gaulle non solo medita sull’abbandono della struttura militare dell’Alleanza, che arriverà anni dopo, ma ha iniziato a finanziare gli autonomisti francofoni del Quebec. L’America Latina ribolle delle voglie di Castro e dei caudilli assetati di sangue. In Europa l’entusiasmo per il nuovo inquilino della Casa Bianca è forte, ma scopri se durerà e se, soprattutto, sarà possibile reggere le spalle ai bolscevichi: quando Krusciov parla di pacifica convivenza, tu non si sa mai se ha intenzione di convivere per sempre da buoni vicini o lasciare che l’URSS si ricarichi per tornare all’attacco. Infine, l’Italia: chiede di poter parlare sull’utilizzo dei missili nucleari americani presenti sul suo territorio. Ci sono 4.000 missili dispiegati in tutta Europa. La maggior parte nella Germania Ovest, ovviamente, ma l’altro paese geograficamente adatto a fungere da trampolino di lancio in caso di attacco nucleare è la Penisola, e questo è stato opportunamente valutato nell’allocazione di vettori e testate.
Italia: apriamo una parentesi a questo punto.
La caduta di Tambroni
Premessa imprescindibile per comprendere questa vicenda, che ci giunge oggi grazie al lavoro del National Security Archive della George Washington University, una delle migliori accademie della capitale americana: siamo nel febbraio del 1961. Nel 1961 l’Italia stava incubando un cambiamento politico pieno di conseguenze: il centrismo stava finendo, il centrosinistra era in gestazione. Con una transizione traumatica: il governo Tambroni, frutto di un accordo mai ripetuto tra la Dc e un Msi all’epoca dichiarato neofascista. Scontri di strada, morti e feriti. Tambroni accantonò, al suo posto Amintore Fanfani.
Si vedrà che questo ha la sua importanza a lungo termine. Nell’immediato futuro, basti pensare che è lui a chiedere il diritto di intervenire sull’uso dei missili dislocati tra Aviano e Sigonella. In fondo è un discepolo di Giorgio La Pira, sindaco (che sant’uomo, ma che supplizio) di Firenze che si divertiva ad andare a Mosca in quegli anni a parlare con Krusciov – in compagnia dell’altro suo allievo Vittorio Citterich – non preoccuparsi di quello che la gente dice di lui sul Potomac.
In sintesi: JfK, mentre medita sui complicati equilibri internazionali, osserva John John che salta in ginocchio in mezzo allo Studio Ovale, ma non sa esattamente cosa pescare. Infine arriva un monito, firmato da una sottocommissione del Congresso (quella unificata per gli Affari Europei): ci sono “questioni imbarazzanti riguardo all’indebolimento degli standard di custodia e controllo da parte americana delle armi nucleari, soprattutto in quelle destinate ai bombardieri” . Proprio come nel film di Kubrik, che uscirà solo nel 1964.
I documenti possono essere consultati qui
Un dottor Stranamore ante litteram
Ma il romanzo da cui è tratto, “Red Alert” di Peter George, è in piena circolazione dal 1958, e chissà chi ha suggerito la trama all’Autore.
In ogni caso, c’è poco da scherzare, soprattutto perché il rapporto segreto sottolinea che “i missili nucleari Jupiter si trovano in paesi politicamente instabili”. Ora, i Giove sono finiti, per la precisione, in due pietre angolari del fianco meridionale della NATO. La prima è la Turchia, la seconda l’Italia. La Turchia, a quel tempo, andava avanti tra un colpo di stato militare e l’altro.
Si dirà: in Turchia è così, ma non in Italia. Giusto, ma anche sbagliato: perché questi sono gli anni in cui non solo il centrosinistra è in gestazione, ma anche la reazione a quello che è considerato da alcuni un incredibile cedimento alla sinistra, sia interna che internazionale. Anni in cui si sente il tintinnio delle sciabole sui marciapiedi di Roma, di generali con monocolo e veterani del X Mas. È così che cresce la preoccupazione americana: i ricordi della seconda guerra mondiale sono molto vivi.
In particolare, lo sono alla luce di un terzo passaggio del rapporto, quello in cui si parla esplicitamente della possibilità di un “malato di mente” che ne approfitta per “usare le armi in modo non autorizzato”. Più esplicitamente: “prendi possesso di un’arma nulla e sparagli”. Un generale Squartatore, insomma, ma anche quello che sarà Tognazzi anni dopo in un film di Monicelli: “Vogliamo i colonnelli”. L’onorevole Tritorni, eletto nel circondario di Querceta-Castiglioncello-Vada, è uno che spaventa davvero gli uomini più potenti della terra. Non dategli una bomba per far saltare in aria la Madonnina del Duomo di Milano, ma La Bomba, e vedrete che botto.
È improbabile che Kennedy conoscesse l’onorevole Tritoni, ma convocò comunque lo Stato Maggiore Unificato.
Fa domande, il Presidente, ma non ottiene risposte esaustive. Di lì a poco, il disastro della spedizione contro Castro aprirà un varco tra politici e militari che non si chiuderà nemmeno ai tempi del Vietnam. Inizia così un intricato scambio di telegrammi, appunti, avvertimenti tra e all’interno delle cancellerie di mezzo mondo, in cui gli USA si impongono un po ‘, soffrono un po’ e alla fine devono trovare il giusto equilibrio. Ma la soluzione non arriva, si fa aspettare, si allontana e si avvicina come una Fata Morgana e intanto a Vienna Kennedy viene pubblicamente umiliato da Krusciov, in Sud America langue l’Alleanza per il Progresso e in Europa quel revanscista De Gaulle si rifiuta persino di parlare Inglese in pubblico: We are the Continent. E Fanfani? Fanfani tiene duro: o si decide di usare anche le armi, o nisba. Il moccioso è abituato a tenere a bada le correnti democristiane, figuriamoci se è impressionato dalla Casa Bianca.
Finalmente il controllo, che terribile. Nel marzo 1961, il consigliere della Camera William R. Tyler chiese ufficialmente al Segretario di Stato Dean Rusk (che, conoscendo la mancanza di autonomia decisionale di Rusk, equivaleva al presidente che gli imponeva senza mezzi termini) di scrivere a Robert McNamara, il pozzo più ribelle segretario della difesa. Quest’ultimo, repubblicano di peso alla Corte di Re Artù, ha dovuto essere informato che la preventiva autorizzazione all’uso delle armi nucleari “non può essere rifiutata ad un Paese che li ospita sul suo territorio e che lo richiede, attribuendo alla questione un’importanza di natura politica “. In fondo, perché rifiutare all’Italia ciò che in fondo è già garantito a Francia e Regno Unito? Un’equazione che sa molto sulla fine della Seconda Guerra Mondiale: Roma non è più il ragazzo da battere, ma un alleato da rafforzare. Tanto più che sarebbe “una cosa molto sfortunata se si volesse persistere su posizioni negative rispetto alle richieste italiane, che potrebbero minare la fiducia reciproca che si è instaurata nel campo della collaborazione atomica e che sta resistendo fino ad ora”. Una frase criptica che trova la sua spiegazione in una circostanza: i Giove erano stati accolti dall’Italia senza ricorrere a un dibattito parlamentare lacerante e incerto a Montecitorio.
In parole povere: Kennedy ha rinunciato a chiedersi se fosse un trasferimento di sovranità da parte americana, Fanfani si è chiesto se fosse un trasferimento di sovranità da parte italiana. Entrambi avevano un solo nemico: il colonnello Buttiglione.
L’abbandono della dottrina MAD
Dopo pochi mesi, infatti, tutto è cambiato. Dopo alcuni mesi, Kennedy disse alla NATO che sarebbe stata abbandonata la Dottrina della distruzione reciproca assicurata (folle), quella che fino ad allora sanciva il principio che anche il minimo attacco nucleare sovietico avrebbe avuto come risposta l’uso di tutte le armi nucleari di l’alleanza .
Dopo pochi mesi – un po ‘di più – sarebbe stato trovato il primo accordo USA-URSS per la limitazione dei test nucleari nello spazio. Dopo pochi mesi, soprattutto, il principale consigliere del presidente americano, Arthur Schlesinger Jr., è venuto a Bologna per un convegno organizzato da Il Mulino, sul tema della storia contemporanea, e la storia contemporanea è stata fatta: il via libera definitivo per il centro sinistra, che verrebbe gestito nella sua fase iniziale – indovina da chi? – di Amintore Fanfani.
Che non ha mancato di farsi sentire, il terribile monello, anche pochi mesi dopo, quando il mondo era di nuovo nelle grinfie del dottor Stranamore.
Krusciov, ancora convinto che Kennedy fosse un ragazzino viziato, aveva piazzato una salva di missili nucleari davanti alla sua porta, cioè a Cuba. L’affare Missile di ottobre, e la sua conclusione, tutta a favore degli Stati Uniti e del loro giovane presidente, sarebbe stato raccontato da Bob Kennedy in un avvincente opuscolo, Thirteen Days.
Avvincente ma non completo, perché se è vero che Krusciov è tornato a casa con le mani nella borsa (lo avrebbero fatto al Cremlino più tardi, per questo motivo) e che JfK è uscito come un eroe nazionale e internazionale, il buon Bob dimenticavo di annotare che in mezzo a tanto vigore, un accordo – non scritto, ma sono quelli che durano di più – tra le superpotenze svolgeva anche il suo compito, e prevedeva la rimozione di una quantità di Giove finalizzata al URSS per alcuni anni.
Inutile dire che questi erano i missili che c’erano in Italia. Inutile dire che è sempre stato lui, Amintore Fanfani, a mettere una parolina, ma alla fine ha sentito. Diavolo di un uomo: alla fine della storia si è ritrovato ad avere in tasca il diritto di dire no all’uso delle armi nucleari, senza avere la seccatura di tenerne nemmeno una in casa.
Jfk in Italia e gli SS-20 sovietici
Ma è davvero la fine della storia? No, e per due ragioni. Il primo è che Kennedy, sempre dopo pochi mesi, è arrivato in Italia in visita di Stato ed è stata una marcia trionfale. Folla, applausi fragorosi: in Europa amavano l’America e De Gaulle si sarebbe rassegnato a non mandare più soldi in Quebec. Lo portarono letteralmente in trionfo tra la gente di via dei Fori Imperiali, e qui alcuni burloni ebbero l’idea di sfoderare la pistola di un popolo dei servizi di sicurezza americani. Chissà, forse hanno sognato di usarlo in qualche colpo di stato nel prossimo futuro.
La seconda ragione è che gli anni sono passati, ma i missili sono rimasti. Alla fine degli anni ’70, il governo della Germania occidentale denunciò che l’URSS aveva segretamente piazzato una foresta di SS-20 multi-testate contro le principali capitali europee. Hanno anche proposto, al Cremlino, di raggiungere una serie di obiettivi in America. Era necessaria una risposta al suono di Cruise e Pershing-2 per essere distribuita in tutta l’Europa occidentale, compresa l’Italia. Il dibattito parlamentare questa volta non poteva essere evitato: l’opinione pubblica era troppo divisa. Allo stesso tempo non si poteva evitare un cambio di governo. E chi era indicato per ricoprire la carica di Presidente del Consiglio? Di nuovo lui, Amintore Fanfani. Il moccioso sapeva fare scherzi, ma sapeva come farlo sul serio. Frequenta le Camere e, sulla base della sua ottima conoscenza del latino, utilizza l’ipotetico periodo di realtà e concretezza: “Si vis pacem, para bellum”. JfK l’avrebbe detto di sicuro, e Giorgio La Pira l’avrebbe detto, chissà.