dal nostro corrispondente
BEIRUT – Thawra grida dalla folla in Piazza dei Martiri. Thawra, la canta, ne fa un inno, una speranza, l’unica che resta dopo il crollo economico, la crisi dei partiti al potere e adesso la tragica esplosione nel porto martedì scorso. Thawra in arabo significa rivoluzione ed esattamente ciò che sta accadendo a Beirut. Una rivoluzione contro il governo e i partiti tradizionali. Ma con una connotazione specificamente libanese, che vede nascere un fronte popolare cristiano-sunnita contro le milizie sciite di Hezbollah (il Partito di Dio) sostenuto dall’Iran e dal regime siriano. All’improvviso viene sconvolto l’equilibrio che nel 1990 ci aveva permesso di superare 15 anni di guerra civile costando oltre 200.000 morti. Si apre per il Libano un periodo di grave incertezza, che potrebbe portare alla reazione armata delle milizie sciite e possibili bagni di sangue.
Nuove vittime
Non abbiamo più niente da perdere. Rivoluzione, impicciamo questi politici corrotti. Rivoluzione, buttiamo tutto giù, lode a decine di migliaia cercando di coprirsi naso e bocca dalla pioggia di gas lacrimogeni sparati dall’esercito e dalla polizia. Quanti? I manifestanti parlano di mezzo milione, la polizia li riduce a 15.000. Tuttavia, l’esercito regolare reagisce con forza. Si sentono anche alcuni spari. Corriamo mescolati tra la gente. Vediamo passare alcune barelle con le vittime (la sera gli ospedali segnalano circa 120 feriti e almeno un paio di morti). Attenti, sparano, sparano !, urlano calpestando le schegge di vetro, cemento e metallo cadute a terra dai piani superiori a causa dell’esplosione al porto. Sporcano le strade, scricchiolano sotto le suole, cumuli di detriti non raccolti che ora concretamente combinano quella tragedia con la volontà di redenzione popolare.
Il ministero impegnato
Ma il dispiegamento dell’esercito non è sufficiente. Gruppi di giovani armati di bastoni, con caschi da muratore o da motociclista in testa, avanzano ugualmente sfidando il gas mettendosi le magliette sulla bocca. Quando va davvero male si strofinano cipolla e limone sul naso. Altri colpi, forti ruggiti. Con il sole che tramonta dopo le cinque riescono a entrare nell’edificio del ministero degli esteri guidati da qualche decina di ex militari che da mesi chiedevano un aumento della pensione. Un colpo molto grave al prestigio e al potere del presidente Michel Aoun. Gli stranieri sono simbolicamente il cuore della sua autorità. Cristiano, voleva rompere il vecchio fronte maronita filo-occidentale per allearsi con gli sciiti di Hezbollah filo-ayatollah a Teheran e con il regime di Bashar Assad a Damasco, spiegano i commentatori del quotidiano della minoranza cristiana Orient-the-Day. ioministero impegnato in forza. Documenti di ogni genere, gettati dagli uffici ai piani superiori, piovono nella portineria; i file vengono incendiati.
La scheda Hezbollah
A quel punto accade qualcosa di impensabile solo fino a poco tempo fa. I manifestanti camminano brandendo l’effigie di Hassan Nasrallah appesa a una piccola forca di legno che portano sulle spalle. Rompe una scheda. Non era mai successo dalle manifestazioni iniziate lo scorso 17 ottobre che il massimo esponente politico di Hezbollah fosse stato attaccato direttamente. Basta con l’Iran. Basta con le milizie sciite armate che impongono la loro volontà alla società civile. Riprendiamo il nostro Libano. Non siamo una colonia di Teheran, vogliamo tornare a essere uno stato libero indipendente che si determina, grida tra le tante Lili Franje, una settantenne dell’intellighenzia cristiana venuta a manifestare vestita come se fosse a una festa.
Rimane solo la rivoluzione
Ride e piange. È raggiunta da Mohammad al Jadduah, imam sunnita di Baalbek. Siamo insieme per chiedere a questo governo di dimettersi, spiega. E con loro c’è Rolla Stephan, 47 anni, sofisticato e dai modi gentili come sa essere la buona borghesia maronita della capitale. Con mio marito avevamo cinque società commerciali e una società di costruzioni. In tutto, oltre 900 dipendenti. La crisi economica ci aveva portato via quasi tutto nell’ultimo anno. E ora l’esplosione ha distrutto la nostra casa e gli ultimi uffici. Siamo diventati senza proprietà. Ci resta solo la rivoluzione, dice, come se trovarsi in piazza con indosso una maschera antigas e occhiali protettivi contro le schegge fosse la scelta più logica possibile.
Il violento confronto
Intorno alle 18:00 il primo ministro Hassan Diab alla radio cerca di calmare la folla. Torna per promettere un’indagine indipendente sulle cause dell’esplosione e spinge per libere elezioni entro due mesi. Ma sembra fiato sprecato. Troppo tardi! Vi impiccheremo tutti, dimettiamoci, replica da Piazza dei Martiri. Poi il turno del Ministero dell’Economia. L’odiato centro dei provvedimenti, che negli ultimi mesi l’hanno fatto ha ridotto il valore della lira libanese a un decimo, è occupato con la forza. Seguono le sedi delle più prestigiose istituzioni bancarie e quelle del Ministero dell’Ambiente. Al parlamento. Prendiamo il parlamento, gruppi di ragazzi con le pietre in mano si emozionano a vicenda. Lo sbarramento di gas lacrimogeni diventa più denso. C’è chi sviene sopraffatto, soffocato dalle nuvole bianche che scivolano nelle strade minori. Ma l’esercito crea una barriera. Ora combatte su due fronti e riesce a impedire ad alcuni giovani sciiti di Hezbollah di puntare le armi contro la folla. Ieri sera lo scontro è proseguito a tratti ancora molto violento.
8 agosto 2021 (modifica l’8 agosto 2021 | 21:26)
© RIPRODUZIONE RISERVATA