Il denaro destinato alla Palestina segue almeno tre flussi. La prima è quella alimentata dai singoli stati o enti come l’Unione Europea. Il secondo è gestito dall’ONU. Il terzo, il più pericoloso, sostiene l’esercito terrorista di Hamas. Non è facile fare i calcoli, perché le cifre oscillano tra le diverse fonti.
1. Cominciamo dai canali ufficiali. Chi sono i donatori più generosi?
Il Pecdar, «Consiglio economico palestinese per lo sviluppo e la ricostruzione», con sede in Cisgiordania, ha raccolto dati ufficiali dal 1994 al 2021, con parziali riferimenti al 2022 e al 2023. Il 1994 è l’anno successivo agli accordi di Oslo, quando Yasser Arafat, leader del l’OLP, riconobbe il “diritto ad esistere” di Israele. Ebbene, al primo posto tra i finanziatori troviamo l’Unione Europea con 7,6 miliardi di dollari. Seguono gli Stati Uniti, con 5,746 miliardi e l’Arabia Saudita, con 4 miliardi e così via. Nel calcolo non sono comprese le somme trasferite dall’ONU, che vedremo tra poco.
2. Qual è stato il ruolo dell’Unione Europea?
L’impegno europeo si è evoluto nel tempo. Dopo una prima fase di soli aiuti umanitari, nel 2003 l’UE ha sviluppato diversi progetti di sviluppo economico, nel quadro della “Road Map per la pace”, in collaborazione con Stati Uniti, Russia e ONU. L’iniziativa avrebbe dovuto dare sostanza economica alla formula dei “due Stati”, Palestina e Israele, indipendenti e sovrani.
L’Ue, infine, ha lanciato la “Strategia comune europea 2021-2024” che può contare su un budget di 1,17 miliardi di euro. Per ora sono arrivati a destinazione 681 milioni di euro distribuiti nei sette capitoli del piano, che spazia dalle riforme istituzionali ai bisogni primari, come acqua ed energia. I fondi dovrebbero essere utilizzati anche per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, le pensioni, l’assistenza sociale e sanitaria per i più deboli.
3. Come hanno agito le Nazioni Unite?
Il secondo canale di finanziamento, essenzialmente gli aiuti umanitari, passa attraverso l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei “rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente”, compresa, quindi, la Striscia di Gaza. In testa ci sono gli Stati Uniti con 343 milioni di dollari. Segue la Germania con 202 milioni. L’Italia è al 14esimo posto con 18 milioni. Il Qatar è ventesimo, con 10,5 milioni. I dati si riferiscono al 2022.
Entriamo nel terzo livello, quasi sempre clandestino. L’UE e gli Stati Uniti assicurano di non aver mai finanziato Hamas. Esiste però il forte sospetto che i miliziani di Gaza abbiano utilizzato una parte degli aiuti umanitari per acquistare armi e missili. Le mosse del Qatar sono ora sotto osservazione. Nel 2005 il governo israeliano si ritirò da Gaza; Hamas ha poi vinto le elezioni e ha chiesto aiuto a un paese amico, il Qatar. Le “spalle” di Doha trasportavano valigie di dollari nella Striscia, con il tacito consenso degli israeliani. Gli stessi qatarioti hanno dichiarato che dal 2012 al 2021 hanno versato nelle casse di Hamas 1,49 miliardi di dollari, da utilizzare per i bisogni della popolazione.
Poi ci sono le entrate nascoste. Secondo il Dipartimento di Stato americano, ogni dodici mesi l’Iran versa ai jihadisti di Gaza almeno 100 milioni di dollari. Altre donazioni non quantificabili arriverebbero da gruppi di sostenitori con sede in Turchia, Kuwait e Malesia. Non è abbastanza. Da contare i profitti del portafoglio finanziario di Hamas: 500 milioni in investimenti immobiliari in Algeria, Arabia Saudita, Sudan, Turchia, Emirati Arabi Uniti. Chiudono il conto i 450 milioni di dollari guadagnati dal contrabbando di merci, compresa la droga, in arrivo dal Sud America. Tutto questo per mantenere un esercito e una rete di tunnel che costano tra i 300 e i 500 milioni di dollari all’anno.