Gli strateghi della Casa Bianca parlano di “disaccoppiamento”, disaccoppiamento tra le economie americana e cinese. A Pechino si discute da tempo sulla “de-dollarizzazione”, che significa disancorare la politica finanziaria cinese dalla valuta di riferimento americana, il dollaro. Non è un mistero che la Cina stia lavorando per internazionalizzare il suo renminbi, la valuta popolare, meglio conosciuta come yuan. La Russia, schiacciata dalle sanzioni dopo l’annessione della Crimea, cerca una banca nella seconda economia del mondo, la Cina.
La Banca centrale russa ha annunciato che nel primo trimestre del 2021 Mosca e Pechino hanno ridotto il valore delle loro transazioni bilaterali in valuta americana a meno del 50%. Il “biglietto verde” è stato utilizzato nel 46% dei pagamenti tra Cina e Russia quest’anno, il rublo e lo yuan nel 24% e l’euro è cresciuto al 30%. Nella prima metà del 2021, il commercio sino-russo è stato di 49 miliardi di dollari. Nel 2015, il 90% delle transazioni russo-cinesi è stato regolato in dollari. Esperti russi stanno già salutando la nascita di una “alleanza bancaria e finanziaria” con i cinesi.
Il Global Timesdi Pechino vede imminente la de-dollarizzazione, scrive di “crepe nel muro di sostegno dell’Empire State Building” monetarie, sogni dell’era del renminbi. Ma forse corre troppo. Le voci dei cittadini cinesi corrono da settimane sui social network mandarini, preoccupati per l’ipotesi che le sanzioni americane possano escludere la Cina dal circuito Swift (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication). Alle banche cinesi è stato ordinato di dotarsi dell’uso del sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (Cips), ha riferito Reuters. Pechino l’ha lanciato nel 2015 per l’internazionalizzazione dello yuan. Ma nel 2019 il Cips ha processato solo 135,7 miliardi di yuan, pari a 19,4 miliardi di dollari, una goccia nel mare delle transazioni della Repubblica Popolare.
17 agosto 2021 (modifica il 17 agosto 2021 | 21:26)
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