Di Raffaele Genah
I toni sono gli stessi di una settimana fa. Stesse accuse e stesse minacce rivolte a Israele. Il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, vuole spargere la voce non solo oltre confine, ma anche a Riad, dove si riunisce la Lega Araba.
«Continueremo a fare pressione su Israele finché non si fermerà, mantenendo aperto il fronte di guerra con il nemico a sud del Libano. Abbiamo assistito – aggiunge – a una serie di minacce da parte di Netanyahu, Gantz, Gallant: continueremo su questa strada.”
E poi un’affermazione «orgogliosa»: «Lanciamo ogni giorno droni, alcuni difensivi, altri per raccogliere informazioni. Possono arrivare fino ad Haifa e in tutto il Nord: fa parte della guerra di logoramento contro le difese aeree israeliane. Noi – prosegue – abbiamo migliorato la qualità e la quantità delle nostre operazioni utilizzando anche missili con carico compreso tra 300 e 500 chili e registrato la gittata dei Katyusha”. Una sfida sempre più dura, quindi, anche se sul campo i fatti non sono ancora chiari seguire le parole.
E comunque il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, risponde subito: «State trascinando il Libano in una guerra che sembra possibile. State commettendo una serie di errori e a pagare saranno soprattutto i civili libanesi. Ciò che facciamo a Gaza, possiamo farlo a Beirut”. Gli stessi avvertimenti sono poi arrivati in serata dal premier Netanyahu, che ha invitato Hezbollah a evitare quello che sarebbe un “errore fatale”.
ALLA LEGA ARABA
Le parole di Nasrallah arrivano mentre il suo grande sponsor, il presidente iraniano Raisi, atterra a Ryad. Quando scende i gradini del suo aereo indossa la kefiah – un iconico copricapo palestinese – attorno al collo. Per sottolineare il sostegno alla causa, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha voluto partecipare personalmente al vertice della Lega Araba. La prima volta per il leader sciita della repubblica islamica nel più importante Paese sunnita della regione, dopo la rottura dei rapporti nel 2016 e il disgelo dello scorso marzo. Ma di fronte al sostegno ai palestinesi e alle accuse contro Israele, anche le restanti distanze sono scomparse. Eccoci quindi uno di fronte all’altro, il presidente iraniano e l’erede al trono saudita, il principe Mohamed bin Salman. Le critiche e le analisi vanno nella stessa direzione, anche se con toni diversi. “La responsabilità dei crimini contro il popolo palestinese – dice Salman – spetta all’autorità di occupazione israeliana”, di cui l’erede al trono condanna le continue violazioni del diritto internazionale umanitario. «L’unico modo per garantire sicurezza, pace e stabilità è porre fine all’assedio e agli insediamenti dei coloni» aggiunge il principe che fino a poche settimane fa sembrava sul punto di unirsi al primo gruppo di paesi che hanno firmato gli “Accordi di Abraham” E Raisi esordisce con violenza: “Dobbiamo baciare le mani di Hamas per la resistenza contro Israele”. Proprio quelle mani che ancora grondano il sangue di 1.200 persone massacrate, decapitate e date alle fiamme.
LE MISURE
Poi presenta il suo decalogo che tutti i paesi arabi dovrebbero rispettare, che prevede sanzioni, boicottaggio energetico (proposta che sarebbe stata respinta da due paesi moderati), processi contro Usa e Israele davanti alla Corte dell’Aia, ispezioni internazionali di Centrali nucleari israeliane. In questo fiume di parole tutti hanno voluto dire la loro. E abbiamo sentito tutto, ma nemmeno una sola voce di condanna per le stragi del 7 ottobre. Il presidente turco Erdogan denuncia la “barbarie senza precedenti” a Gaza, critica l’Occidente per il suo silenzio e lancia una proposta: una conferenza internazionale di pace.
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