così l’Ue cambia le grandi pianure d’Italia – Corriere.it

«E adesso che facciamo qui?». Immaginate la Pianura Padana senza i campi di mais e le loro pannocchie. E il Tavoliere delle Puglie senza la distesa ondeggiante di spighe mosse dal vento. Una rivoluzione culturale, non solo culturale. Il che giustifica la domanda sul futuro di chi ha sempre prodotto solo quello e sempre quello: mais lungo il Po e grano ai piedi del Gargano. Ebbene, dal 2024, ad anni alterni, dovremo abituarci a questo cambiamento. La colpa è di aver detto addio alla cosiddetta monosuccessione istituita da Bruxelles, in pratica un obbligo di rotazione delle colture previsto dalla nuova Pac (Politica Agricola Comune) dell’Unione Europea in nome della tutela dell’ambiente e della sostenibilità. Perché produrre sempre le stesse cose minaccia la biodiversità e impoverisce il suolo; ma non produrli più sconvolge improvvisamente i conti delle aziende agricole. E, di conseguenza, dell’intera filiera. Anche perché il grano duro è fondamentale per la pasta e il mais per l’allevamento – e quindi per la carne – che a loro volta restituiscono al terreno preziosa sostanza organica.

La produzione è stata dimezzata

«L’Unione Europea, come spesso accade, è più attenta all’ambiente e meno al mercato – spiega Vincenzo Lenucci, responsabile dello Spazio Economico e Centro Studi di Confagricoltura – perché non è facile cambiare le colture. Soprattutto quando le aziende devono rispettare i contratti con i fornitori, ai quali devono garantire determinati quantitativi di grano a fronte di una produzione che viene improvvisamente dimezzata.” Perché la prima soluzione possibile per gli imprenditori agricoli, nel caso in cui – come sembra probabile – non ci sarà un’ulteriore deroga alle nuove regole (che sarebbero dovute partire dal 2023, prima del rinvio al 2024 deciso lo scorso luglio anche in virtù degli effetti sui cereali della guerra Russia-Ucraina), è quella di dedicare metà del terreno alla coltura storica nel primo anno e spostare l’altra metà al secondo anno: con il risultato, ovviamente, di metà del raccolto per ciascuno dei due anni. La seconda soluzione possibile è anche la più improbabile, anche se alcune aziende agricole ci stanno pensando: non rispettando la norma prevede però di rinunciare al pacchetto di incentivi comunitari che valgono, in media, 150 euro ad ettaro per il grano proveniente da del Tavoliere delle Puglie e 200 per ettaro o poco più per il mais della Pianura Padana (in media, perché sono cifre che variano da azienda ad azienda, con pacchetti che prevedono un incentivo base più bonus aggiuntivi su base storica). Cifre importanti e garantite ormai da quasi trent’anni (dal ’95): rinunciarvi non sarà quindi facile.

Mais e grano duro, dove vengono coltivati

Per questo motivo il panorama delle grandi pianure italiane, sia a nord che a sud, potrebbe risultare distorto: Il mais è la coltura caratterizzante di tutte le regioni del Norddal Piemonte (1,2 milioni di tonnellate prodotte nel 2022, pari al 26,6% del totale nazionale, di cui il 10,6% nella sola provincia di Torino) alla Lombardia (1,17 milioni, pari al 24,9%), fino al Veneto (1,04 milioni, pari al 22,1%) e grano duro del Sud, dalla Puglia (802mila tonnellate prodotte nel 2022, pari al 21,4% del totale nazionale, di cui il 16% nella sola provincia di Foggia) alla Sicilia (682mila, pari al 18,2%). Numeri destinati, irrimediabilmente, a ridimensionarsi, perché i raccolti non potranno più ripetersi.

Cosa cambia in Pianura Padana

E con cosa verranno sostituiti? «Lo stop alla monosuccessione – spiega Cesare Soldi, cremonese e presidente dei maiscoltori italiani – metterà in difficoltà i nostri territori e la filiera del latte e dei salumi e rappresenterà un vincolo per gli agricoltori, visto che il mais è l’elemento fondamentale materia prima per l’alimentazione animale: non esistono vere alternative al mais. Molto probabilmente seminerò soia, che può vantare aiuti accoppiati, nel senso che ai 350 euro ad ettaro del mais, che però scenderanno a circa 200 dal 16 ottobre, si aggiungono altri 120 euro per la soia. Il problema, però, è la redditività: il mais è tra le colture più produttive, con 10 tonnellate per ettaro di prodotto contro le 3 tonnellate per ettaro della soia, circa un terzo. Alternando le due colture, anche considerando il prezzo più alto della soia, la produzione lorda vendibile si dimezza”.

Cosa cambia nel Tavoliere delle Puglie

La situazione, se possibile, è ancora peggiore al Sud. «Con il clima sempre più arido, con un ottobre che sembra giugno – spiega Filippo Schiavone, presidente di Confagricoltura Foggia e consigliere nazionale – non abbiamo alternative al grano duro. E allora le soluzioni sono due: se il grano duro dovesse tornare a prezzi interessanti, cioè intorno ai 50 euro al quintale rispetto ai 37 attuali, si potrebbe pensare di rinunciare agli incentivi comunitari e continuare così a produrre, senza alternanze e vincoli, grano duro. . La seconda soluzione, però, rappresenta in realtà un rischio per l’intero Paese: che i contadini decidano, stanchi di essere vessati da normative sempre più stringenti, di non coltivare più i campi…”.

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