DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
TEL AVIV – 6:29. Né un giorno prima, né un minuto dopo. Mentre un ministro – per ora l’unico – ammette che “questo governo sarà ritenuto responsabile, eravamo al potere”.
Mentre Herzi Halevi, il capo di stato maggiore, chiede scusa davanti a tutta la nazione (“Sabato mattina abbiamo mancato al nostro dovere di tutelare lo Stato e i suoi cittadini”), la presidenza del Consiglio dei Ministri diffonde un comunicato per chiarire che Benjamin Netanyahuveniva chiamato solo all’alba del sabato dell’orrore, una volta iniziata l’invasione, non è mai stato informato dello scontro tra i capi dell’intelligence Venerdì sera, provocati – rivelano i giornali locali – da movimenti sospetti dei paramilitari Hamas a Gaza, della decisione presa dai servizi segreti di rinforzare il Sud con un’unità di intervento rapido antiterrorismo, per riparlarne la mattina dopo. Troppo tardi.
Gli israeliani non si aspettano un atto di coercizione da parte del primo ministro più longevo nella storia del paese, aspettano la fine di questa guerra – per quanto lunga possa essere –, di porre fine ad Hamas e tornare al voto.
Il Likud di Netanyahu e tutta la sua coalizione di estrema destra, secondo i sondaggi pubblicati dal giornale Maariv — implodono, il partito del primo ministro si ritrova con i seggi quasi dimezzati. Chi ha fatto il salto è la formazione guidata da Benny Gantz – 41 anni contro gli attuali 12 – che si è presentata alle elezioni dello scorso dicembre con un nome già adatto a questi tempi bui: Unità nazionale. Soprattutto la maggioranza degli intervistati ripone fiducia nella gestione della guerra – e nel futuro dello Stato – nell’ex ministro della Difesa e capo di stato maggiore: 48 per cento contro il 29 accumulato da Bibi, come viene soprannominato. Infatti – nella domanda specifica sulla condotta del conflitto – il ministro della Difesa Yoav Gallant batte 54 a 42 l’uomo che lo aveva licenziato (ma mai veramente cacciato) perché aveva osato chiedere di fermare il piano di giustizia considerato un anti-terrorismo. svolta democratica.
In questa prima settimana il leader indiscusso del Likud, da sedici anni in totale alla presidenza del Consiglio, sta pagando non solo il disastro intorno alla Striscia, le 1.300 persone massacrate, i 150 ostaggi sequestrati dai terroristi. Glielo hanno detto i commentatori dei principali giornali accusano di aver impiegato cinque giorni per accettare la proposta di Gantz dall’opposizione per formare un governo di emergenza e un gabinetto di guerra ristretto in cui i due siedono insieme a Gallant. Di aver negoziato e manovrato come se una settimana fa qualche migliaio di paramilitari palestinesi non avessero invaso il sud del Paese.
«Questo accordo – scrive Yossi Verter sul giornale Haaretz — per lui è il male minore. Evita uno scontro interno con i due partiti della destra radicale, si riserva il potere di prendere decisioni diplomatico-militari nelle sedute allargate del governo”. Gantz ha già chiarito che l’accordo è valido solo per la durata del conflitto. Ed è quello che Verter gli consiglia: “Un minuto dopo il cessate il fuoco deve andarsene e mettersi al lavoro per rimandare a casa Netanyahu”.