Yemen, Siria, Brasile: il fronte esterno della crisi di Gaza non perde intensità. Anzi, continua a riservare sorprese.
Il drone
La guerriglia sciita Gli Houthi hanno abbattuto un drone americano nel Mar Rosso. La milizia alleata dell’Iran ha affermato che si trovava all’interno dei suoi confini, mentre il Pentagono ha ribattuto affermando che si trovava nello spazio internazionale. Alcuni punti.
1) Dal 2017 gli insorti ne hanno già distrutti tre.
2) È una contromossa allo spiegamento di una task force americana nella regione: la portaerei Eisenhower non è lontana, i sistemi di una nave hanno intercettato numerosi missili e droni lanciati nuovamente dagli Houthi contro lo Stato ebraico.
3) È la continuazione di una strategia di coinvolgimento – parziale – nel conflitto con il benestare di Teheran.
C’è infatti il sospetto di un altro episodio accaduto giovedì un’esplosione in una scuola a Eilat, porto meridionale di Israele. E’ probabile che si tratti ancora una volta di un drone kamikaze appartenente ai miliziani, ben rifornito dagli ayatollah. Hanno navi da crociera a lungo raggio, missili antiaerei, imbarcazioni radiocomandate con armi da utilizzare contro il traffico marittimo.
Ha fatto irruzione
I caccia dell’aeronautica americana sono tornati a colpire obiettivi iraniani nella zona nord-orientale della Siria, sembra che l’operazione abbia coinvolto depositi sotto il controllo dei Pasdaran. L’attacco è considerato una risposta ad altri attacchi compiuti da gruppi che agiscono sotto la protezione dell’Iran e fanno parte – come gli Houthi e i loro “fratelli” iracheni – dellaAsse della Resistenza in opposizione all’alleanza Stati Uniti-Israele. È una catena di eventi in cui i duellanti si combattono cercando di evitare lo scontro totale, segnano il terreno, si sfidano per mandarsi messaggi. C’è sempre la possibilità – e il rischio – che si decida di alzare il livello ma c’è anche spazio di manovra per abbassarlo.
Terrorismo
La polizia brasiliana, in collaborazione con il Mossad, avrebbe sventato possibili attentati da parte di una cellula composta da estremisti vicini agli Hezbollah libanesi. Due persone arrestate, numerose perquisizioni di oggetti. Il triangolo sudamericano Brasile-Argentina-Paraguay è storicamente base di ambienti jihadisti sciiti. Effettuano traffici, raccolgono fondi, creano appigli in vista di possibili missioni. Uno degli snodi è sempre stato il Triplice Confine, vicino alle famose Cascate di Iguazu, il punto in cui si incontrano i confini dei tre Paesi, con la città di Ciudad del Este nel ruolo di area logistica.
Indagini, arresti di appartenenti ad una vasta diaspora araba, rapporti di intelligence hanno ricostruito complicità, collegamenti internazionali che spaziavano dal Medio Oriente alla Colombia. Con sviluppi tragici dovuti ai massacri che insanguinarono Buenos Aires a metà degli anni Novanta. Il 17 marzo 1992 l’ambasciata israeliana fu distrutta da un camion bomba, uccidendo 29 persone. Due anni dopo, a luglio, l’Amia, l’associazione ebraica argentina, fu devastata. Altri 86 morti. Le indagini verranno depistate, ostacolate da manovre legate alla realtà politica argentina, intrecciate con faide tra servizi segreti locali e scenari diplomatici, morti misteriose.
Secondo indiscrezioni trapelate circa un anno fa New York Times e attribuito al Mossad, entrambi i massacri sono stati opera della stessa rete Hezbollah. Per il primo attacco, il gruppo è stato coordinato da Hassan Karaki e Talal Hamiya, collaboratori di Imad Mughnyeh, capo dell’apparato clandestino del movimento libanese. Il veicolo era guidato dal kamikaze Muhammad Nasr al Din, un libanese emigrato in Brasile. L’azione è stata la vendetta per la morte del leader della fazione, Sheikh Mussawi, ucciso da un raid aereo israeliano. Il secondo “colpo”, ad Amia, è stato invece la ritorsione per un bombardamento avvenuto in Libano nel giugno 1994 che costò la vita a 50 combattenti di Hezbollah. I principali responsabili sono ancora ricercati, probabilmente a Beirut o in Iran. Solo Mughnyeh è stato raggiunto dal nemico a Damasco: una bomba nascosta nel poggiatesta del suo Suv lo fece a pezzi nel 2008. Agenti israeliani e americani lo “terminarono”.