Fino a che punto sia arrivata finora, nemmeno lei lo sa. Dal Sierra Leone dove è nato, fino a qui, tra gli infiniti uliveti che separano i piccoli centri dalle estese coste delle partenze, guardando la mappa delle nazioni e dei deserti, cercando di tracciare linee da un punto all’altro e contando, ecco, Makala avrà percorso diecimila chilometri. E manca ancora la parte finale. Ma ci sarà mai una parte finale? «Noi due volevamo raggiungere Milano. mio Marito sarebbe stato il primo, avrei aspettato, il momento di cercare lavoro, raccogli dei soldi e mandameli e così potevo partire a mia volta. Insieme a nostra figlia, che ha sette mesi: è nata nel deserto.”
I rastrellamenti
Il deserto è quello della Libia, dove Makala, in viaggio dal 2018, vi è rimasto per tre anni. E la venuta al mondo della bambina avvenne nel deserto, in un’oasi, come forma di sicurezza: vero, non c’erano medici né infermieri, e nemmeno amici che potessero aiutarla, del resto; eppure lei, restando nascosta tra le mani, aveva ridotto, anche se non eliminato, i rischi che potevano presentarsi predoni, miliziani, trafficanti, vagabondi feroci o tossicodipendenti. «Abbiamo allargato la famiglia, una benedizione dal cielo. Dopo tanta fatica, tanta sofferenza, abbiamo festeggiato. Tra di noi. Abbiamo festeggiato piangendo». Del lungo tempo trascorso in Libia, delle carceri o meglio dei campi di concentramento, le retate contro i migranti, le rapine, le torture, Makala preferisce non parlare. Per quanto assurdo possa essere, in queste angoscianti testimonianze di esseri umani, l’importante era lasciare la Libia e riescono a raggiungere la Tunisia.
«L’ultimo grande raccolto»
In Tunisia, in questa zona a tre ore di macchina dalla capitale Tunisi – siamo sulla costa e nelle campagne di Sfax, città di 260mila abitanti, uno dei porti storici dell’intero Mediterraneo -, sono i giorni dell’“ultimo grande raccolto”. Lo chiamano proprio così, nemmeno se si trattasse dei prodotti della terra da allevare, vendere, guadagnare, in riferimento alle condizioni atmosferiche, con massime anche superiori ai 35 gradi, e al mare stesso, molto calmo; per raccolto intendiamo quello dei migranti e dei loro soldi. Per salire sulla nave e raggiungere Lampedusa oggi servono 3.500 dinari tunisini, pari a mille euro. Un prezzo inferiore di un terzo rispetto a quello che chiedevano i trafficanti solo un mese fa. Eppure Makala, che incontriamo nella cittadina di Jebeniana, disteso sul marciapiede, non lontano dal minuscolo centro comunitario che poggia sull’affollata moschea, Bandiere di Hamas appese alle finestre e scooter, cammelli in vendita (il negoziante magnifica la carne, spiegando che toglie ogni infiammazione dal corpo), abbiamo detto Makala, la bambina in grembo e un bicchiere di plastica in mano per chiedere l’elemosina, non ha nemmeno i soldi per il pranzo. Non mangia da due giorni. «Mio marito è appena morto in mare. La sua barca si è capovolta. È morto. E non so come o cosa fare.”
Migranti con soldi
La Tunisia sta vivendo un’emergenza umanitaria cui l’Europa interessa poco. Semmai se ne riparlerà qualora sui barconi sia passato un delinquente (cosa che, attenzione, accade, ma meno frequente di quanto si pensi). Di donne come Makalaintorno a noi, che riposano stanchi, cercano di allattare i loro neonati, scacciano mosche e insetti, si vergognano dei loro vestiti logori e sbrindellati, Ce ne sono centinaia. Donne che non possono tornare da dove sono venute e non possono andare avanti dove vorrebbero andare. «Una volta che fossimo stati tutti a Milano, saremmo andati verso Ventimiglia per entrare in Francia. Questo era il nostro obiettivo. In Francia ci uniremmo agli amici, sopra Parigie ci aiuterebbero con la casa.”
Makala rappresenta il povero migrantequello nel vero senso della parola senza i mezzi per pianificare non l’immediato futuro a breve termine, ma anche l’immediato domani. Poi eccoli lìe semplicemente posizionati nelle barre giuste e passa ore ad osservarle, migranti ricchi. O almeno quelli che non hanno problemi economici. Chi sono? Le coordinate sono identiche: di solito ventenni, uno o due cellulari di ultima generazione, auricolari costosi, stessi vestiti, pranzo e cena ogni giorno spendendo fino a 50 dinari in totale, ovvero 15 euro (lo stipendio medio in Tunisia è di 500 euro), lunghe attese agli uffici postali e agli sportelli bancari per ritirare mazzi di banconote . Sono qui da un po’, tempo di riprendere fiato, poi andranno in Europa quando vorranno. Forse, per le fonti dell’intelligence tunisina che abbiamo incontrato in questo viaggio, finiranno nelle dinamiche del crimine. Tra i migranti c’è un’ulteriore categoria che dobbiamo ricordare: i criminali. Senza generalizzare, ma basandosi su informazioni investigative, provengono principalmente da Ciad, Nigeria e Sudan. Hanno creato basi in alcune località interne della Tunisia, dove il controllo della polizia è debole – lLa corruzione degli agenti è endemica – o, di fatto, facilmente acquistabili. Traffico di droga e prostituzione. E armi. Salire a bordo delle barche. Presto un Kalashnikov sbarcherà sulle coste italiane; non sarà così, forse non sarà mai così, per Makala che sognava il Milan.