Il parroco di Gaza: “Siamo sfiniti, con le bombe crescerà solo l’odio”

Padre Gabriel Romanelli, 54 anni, argentino, è da 4 anni parroco dell’unica chiesa cattolica di Gaza: alle sue cure ci sono 135 anime sui mille cristiani della Striscia. Una minoranza nella minoranza sui 2,3 milioni di abitanti totali. I bombardamenti israeliani lo hanno sorpreso a Betlemme: sarebbe dovuto rientrare a Gaza domenica 8 ottobre. Un mondo fa. Ha chiesto più volte alle autorità israeliane di lasciarlo tornare, ma al momento l’intero territorio è sigillato: è in costante contatto con Gaza, come ci racconta tra le mura del Patriarcato latino di Gerusalemme.

Qual è la situazione della comunità?

«È drammatico. Tutti quelli con cui parlo mi dicono che nessun posto è sicuro oggi a Gaza e che per questo molte persone non vogliono nemmeno uscire di casa: i bombardamenti sono continui, e molte persone sono morte mentre se ne andavano a seguito degli ordini di sfratto emessi da Israele. Allora pensano che sia meglio morire in casa che andare al Sud: anche perché al Sud non c’è niente. Né una coperta, né un sacco di farina, né una tenda. E poi restano. Molti sono venuti da noi: pensando che la chiesa fosse un luogo sicuro. Ma dopo il bombardamento di San Porfirio non ci sono più certezze.”

Quante persone ospiti?

«La Chiesa cattolica ha cinque strutture: in tutte ci sono profughi. I nostri parrocchiani, i 54 bambini disabili assistiti dalle suore di Madre Teresa, alcuni anziani e malati, alcuni poveri che assistiamo da anni, poi c’è tanta gente che viene anche da altre chiese: prima del bombardamento della chiesa ortodossa nel parrocchia erano erano 500, ora siamo a 700. La sera dormono sul pavimento della Chiesa perché hanno paura di restare nelle strutture più vicine alla strada. Il timore è che venga colpito un edificio o la strada e crolli tutto, come a San Porfirio. Il Patriarcato latino di Gerusalemme ha allertato le autorità israeliane dove si trovano le nostre strutture, che all’interno ci sono profughi civili e che molti di loro non possono muoversi: la risposta è stata che non siamo un bersaglio. Ma nemmeno San Porfirio lo era. Le persone si sentono più protette perché ci siamo noi, ma tutti sanno che anche qui il pericolo è reale.”

Conoscevate le vittime di San Porfirio?

«Certo. Sono a Gaza dal 2005, prima come parroco e poi come parroco: la comunità cristiana è una comunità piccola, molto intrecciata. Frequentiamo gli stessi gruppi, ci sposiamo tra persone di riti diversi. Sapevo tutte le persone che morirono, ne avevo viste crescere molte, avevo visto nascere i bambini. Erano brave persone.”

Di cosa c’è bisogno oggi a Gaza?

“Elettricità. Cascata. Medicina: negli ospedali si opera senza anestesia, ci sono 18mila feriti. I generatori, i pannelli solari, tutto quello che era stato messo per sopperire alla cronica mancanza di energia non funziona più. Compreso pompe per prendere l’acqua che serve almeno per lavarsi. I frigoriferi non servono: mangiamo solo cibo secco, finché ne abbiamo.”

Il Papa l’ha chiamata.

«Il Papa chiama quasi tutti i giorni: me o se riesce a passare chiama anche Abuna Yusuf, il mio vicario. Abuna Yusuf mi ha detto che a volte in parrocchia mettono il vivavoce e fanno ascoltare le sue parole a tutti quelli che sono lì. Chiede di proteggere i bambini, perché sa che sono disabili e hanno bisogno di aiuto più degli altri. Sentirlo vicino è importante.”

Cosa vuoi dire al mondo dai tuoi parrocchiani di Gaza?

«Chiedo a chi ha fede di pregare, perché il Signore ascolta. E a tutti coloro che hanno la parola chiedo di chiedere la pace, la fine dei bombardamenti. So che questa è una posizione controversa e che molti non vogliono ascoltarla. Ma più bombe significano più morti e più feriti. E significa che il male continuerà a crescere. Voglio anche dire che i corridoi umanitari sono urgenti: questo è un territorio che è sotto blocco da quindici anni. Prima della guerra arrivavano centinaia di camion al giorno, adesso sono una ventina. È una goccia nel deserto. Il mio messaggio è quello del Papa: la pace. La pace sia su tutti, su Israele, sui palestinesi, sulle persone che sono state portate a Gaza contro la loro volontà.”

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