La guerra in Ucraina è un cigno nero per il governo Meloni, una spaccatura tra Usa ed Europa: “Cittadini stanchi”

Il crack si vede anche in Italia. Dopo Washington, la Slovacchia, la Polonia. “È ovvio – ha detto ieri Giorgia Meloni intervista con SkyTg24 – che il guerra genera conseguenze che hanno un forte impatto sulla nostra società e che se non saremo bravi ad affrontare quelle conseguenze, le opinioni pubbliche continueranno a scricchiolare”.fatica”, i dubbi sull’impegno militare in Ucraina. Meloni dice di averne parlato anche martedì pomeriggio nella videochiamata con il presidente Usa Joe Biden è entrato in contatto con i leader delle sette grandi potenze mondiali, dal Canada al Giappone passando per Regno Unito, Germania e Francia. “Mi sono posto questo problema – ha spiegato – L’inflazione, i prezzi dell’energia, le migrazioni sono tutte conseguenze del conflitto che, colpendo i cittadini, generano resistenze o rischiano di generare stanchezza nei cittadini. Se vogliamo difendere l’Ucraina con forza, dobbiamo prestare attenzione anche a queste conseguenze”.

IL crepa lo si vede confrontando le parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani: “Continueremo a sostenere il Paese per una pace che sia garanzia di libertà e indipendenza per l’Ucraina”. E quelli del ministro della Difesa Guido Crosetto: “Tajani parla di una continua richiesta di aiuto. Sta però a noi verificare cosa siamo in grado di dare rispetto a quello di cui avrebbero bisogno. C’è una crepa nelle sfumature. Nella crepa si nasconde il “cigno nero” per il governo Meloni. Si chiama “Ucraina” ed è quell’evento “raro e inaspettato” che rappresenta l’unica variabile con cui deve fare i conti il ​​governo Meloni. Non ci sono crisi di governo all’orizzonte, tanto meno governi tecnici. Il problema non sarà lì legge di bilancio (non sappiamo dove trovare dieci miliardi), immigrazione. L’unica variabile da tenere in considerazione è il cambiamento di scenario rispetto alla guerra in Ucraina negli Stati Uniti e in Europa.
Lo scenario e la variabile hanno preso forma negli ultimi dieci giorni. Nel frattempo il Slovacchia è andato al voto il leader populista di sinistra e filo-Putinista Roberto Fico ha vinto le elezioni grazie a due slogan: “Stop alle armi a Kiev”, “stop agli immigrati”. Due giorni fa la Camera e il Senato degli Stati Uniti hanno votato un buffer budget in grado di evitare lo shutdown fino a metà novembre. I repubblicani di estrema destra si sono assicurati che il pacchetto (6 miliardi) di aiuti militari a Kiev non fosse incluso in quel budget.

Per la prima volta in 19 mesi l’Ucraina è assente dal bilancio americano. Gruppi di destra repubblicani collegati a briscola stanno alimentando la campagna contro Kiev e a favore della fine della guerra. Ieri i senatori trumpiani sono riusciti a convincere il portavoce repubblicano a dimettersi con una mozione di sfiducia Kevin McCarthy perché “troppo morbido” con l’amministrazione Biden. È la prima volta che ciò accade nella storia americana. Capitol Hill è nel caos. Attenzione ai prossimi giorni. Domenica 8 ottobre il filo rosso, per quanto sottile, che collega Washington a Bratislava, tocca i sondaggi delle terre di Assia e Baviera, di Francoforte e Monaco per intenderci, 6 milioni di abitanti la prima e 13 la seconda. Il cancelliere Scholz deve misurare il crescente consenso dell’estrema destra. Il 15 ottobre è la volta del Polonia dove l’ex primo ministro ed ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha stretto un’alleanza (“Piattaforma civica”) contro l’attuale maggioranza definita “un governo nazionalista di destra che contrappone i polacchi ai polacchi”. L’attuale leader Morawiecki, amico e alleato di Giorgia Meloni, è ancora avanti di 4/5 punti e a settembre ha annunciato che non invierà più armi all’Ucraina. Polonia e Pis che furono i primi sostenitori del popolo ucraino. Poi inizierà la campagna elettorale per le elezioni europee (giugno). Nel frattempo anche quella americana farà i suoi passi. Ecco, in questo contesto, con la guerra in Ucraina in una sorta di stallo, quelle che arrivano dall’Europa e dagli Stati Uniti sono senza dubbio “un’ottima notizia” per Vladimir Putin. La conferma del suo teorema: con le fragili democrazie occidentali basta resistere un po’ e basta.

L’improvvisata riunione remota del G7 di martedì pomeriggio aveva lo scopo di inviare un messaggio chiaro. Ristabilendo le consuete certezze: “L’incontro – si legge nel comunicato della Casa Bianca – è servito a coordinare il nostro continuo sostegno al popolo ucraino che difende la propria libertà e indipendenza contro la brutale invasione russa”. È l’ottavo pacchetto di aiuti. Quella su cui, appunto, il ministro Crosetto ha detto: “Bene, vediamo”. Il tema del “malessere” e della “stanchezza” è già entrato nella campagna elettorale. Di ogni paese europeo. Salvini, ad esempio, sfrutterà il malcontento e darà spazio alla sua russofilia scambiandola con una “voglia di pace”. Un sentimento che trova cultura sia nell’estrema destra che nell’estrema sinistra. Proprio la maggioranza che ha fatto vincere Fico in Slovacchia. E che Salvini sia disposto anche a ingraziarsi pur di conquistare consensi. A costo di dividere la maggioranza e lasciare spazio a un cigno nero.

Giornalista originario di Firenze, laureato in Letteratura italiana con 110 e lode. Vent’anni a Repubblica, nove a L’Unità.

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