La Turchia spaventa le banche dell’UE

La notizia è arrivata in sordina, quando le borse europee hanno iniziato a scontare cali di oltre un punto percentuale. La chiusura mista di Wall Street e quelle negative dei mercati asiatici sembravano però giustificare il tutto: i mercati hanno reagito con disappunto alle mosse della Fed, sperando forse in un aumento del volume degli acquisti di Qe e non solo in un’estensione di tre anni del tasso di interesse corrente. Tuttavia, nelle intenzioni della BCE e del suo consiglio direttivo c’era qualcosa di più da giustificare l’ultima mossa di emergenza in termini di vigilanza bancaria: l’esclusione temporanea per le istituzioni sistemiche dell’Eurozona dall’esposizione alla Banca Centrale dal loro coefficiente di leva finanziaria. O, i beni non saranno inclusi in quel contatore come monete, banconote e gli stessi depositi conservati presso l’Istituto Centrale. Una mossa puramente tecnica, ma decisamente politica e sostanziale per i bilanci delle cosiddette G-SIB (Banche di importanza sistemica a livello globale) e le controllate di banche estere operanti nell’Eurozona. E quello che ci fa pensare è il fatto che, nonostante il profilo basso scelto per comunicare la decisione, l’Eurotower non ha fatto nulla per nascondere la natura dell’emergenza e dell’eccezionalità dell’ennesima eccezione concessa: “Circostanze eccezionali legate alla crisi del coronavirus”.

Perché allora l’eccezione appena comunicata rimarrà in vigore fino al 27 giugno 2021? Sembra un file già visto della promessa della Fed di intervenire solo per due settimane per riequilibrare il mercato dei pronti contro termine a settembre 2019, per poi istituzionalizzare le aste fino alla tarda primavera. Covid è ora la coperta di Linus. Buono a giustificare tutto e il contrario di tutto, visto che l’escalation di nuove infezioni e il rischio di altri blocchi sono fenomeni noti da settimane. Anche perché il 10 settembre, al termine del board della Bce, Christine Lagarde non ha fatto cenno alla nuova criticità cui è appena stata data risposta. E perché è tanto semplice quanto preoccupante. Il giorno successivo alla riunione del Consiglio Eurotower e alla chiusura della borsa valori, Moody’s ha infatti comunicato il downgrade del rating della Turchia, una mossa non programmata.

In effetti, quello che molti hanno letto come un attacco a freddo. E la sciabola era una di quelle spietate, sia formalmente che sostanzialmente. L’agenzia di rating ha infatti abbassato il rating di Ankara al livello mai raggiunto di B2, cinque gradini sotto lo status di Rifiuto e uguale a Egitto e Ruanda. Ma non basta, perché oltre all’outlook negativo, Moody’s ha messo il carico da novanta con la motivazione della sua decisione di intervenire: “Possibile crisi strutturale della bilancia dei pagamentiQuindi, qualcosa di più della solita crisi valutaria estiva ciclica, a causa dell’esposizione mostro al debito estero, all’inflazione galoppante e alla conseguente politica suicida imposta dal governo alla Banca Centrale, capace di bruciare riserve con velocità allarmante, tanto che oggi è al minimo da 15 anni. Questa volta il rischio è visto come sistemico e strutturale.

Questi due grafici

mostrano la reazione del cambio lira / dollaro alla ripresa delle contrattazioni dopo downgrade: Le massicce vendite da parte di investitori esteri di titoli bancari turchi hanno portato ad uno sconto record degli stessi a livello di valutazione rispetto al settore industriale. Mai, nemmeno durante la crisi del debito europeo del 2011-2012 o in prossimità dello shock valutario del 2019 – quando solo il prestito miliardario dalla Cina ha evitato il peggio, a fronte di riserve gonfiate con swap ma in realtà ormai azzerate – si era arrivati ​​a un tale livello. Certo, la legge del mercato ricorda sempre due mantra: quando il sangue scorre è ora di comprare e, soprattutto, di comprare sempre al minimo. Infatti, quelle azioni potrebbero presto diventare interessanti e sperimentare un rimbalzo record, guidando il settore.

Nel frattempo, però, qualcuno potrebbe farsi male. E l’identità del suddetto ci viene rivelata da questi altri due grafici

il primo dei quali mostra il livello di esposizione dei vari sistemi bancari europei alla Turchia, mentre il secondo dipinge l’andamento del titolo spagnolo BBVA il 16 settembre scorso, in calo al livello più basso dal 1995 per il controllo del 50% la terza banca turca, Garanti. “Sono quelle tipiche decisioni politiche ben mascherate da interventi tecnici“, Si lascia scivolare con Business Insider Italia una fonte bancaria con esperienza trentennale. Insomma, la Bce – anche alla luce delle inversioni di tendenza dei titoli del settore bancario sull’indice Madrid Ibex dalla tarda mattinata – è stata costretta ad intervenire in caso di emergenza per difendere un sistema il cui salvataggio è già costato all’Europa una crisi strutturale e circa 50 miliardi di euro. All’epoca era la bolla immobiliare dell’era Zapatero Ad esplodere in bilancio, dopo che il detonatore Lehman Brothers aveva acceso la miccia, oggi l’esposizione alla Turchia messa pesantemente sul banco degli imputati da Moody’s.

Non a caso, proprio la postura del pugile con la guardia degli investitori abbassata ha costretto l’Eurotower a ignorare le forme ed entrare in campo con un placcaggio scivoloso di quelli decisi, anche se camuffato e reso meno ruvido dal tempismo apprezzabile e forzato. Insomma, mentre la Commissione Ue delinea magnifiche e progressiste fortune per l’Eurozona attraverso il Recovery Fund e le sue linee guida tutte improntate ai grandi obiettivi di riforma, la Banca Centrale ha dovuto scendere di nuovo in campo per tappare vecchie falle che non sono mai state realmente. riparato. Rimane un forte doppio dubbio. Innanzitutto, per capire quanto la mossa abbia davvero rassicurato i mercati e protetto, almeno nel breve periodo, le banche spagnole più esposte. In secondo luogo, se purtroppo la situazione turca peggiora, sia economicamente che geopoliticamente, e questo frustra l’operazione di quarantena dal contagio messo in atto da Francoforte, quale sarebbe il grado di resilienza del sistema bancario europeo a una nuova crisi sistemica che si irradia dalla Spagna (travolgente in pochissimo tempo il Portogallo sovraesposto e finanziariamente interconnesso)?

E le banche italiane, già scosse dai timori legati alla normativa europea sulle sofferenze – definita “una bomba in bilancio” da più parti – e ai terzi del Continente per l’esposizione al rischio di credito di Ankara, come reagirebbero a nuove tensioni transfrontaliere sulle attività? Una cosa è certa: visto il livello di trasmissione del credito all’economia reale tutt’altro che euforico registrato nell’Eurozona al netto dell’intervento mostro della BCE – tra acquisti diretti e aste di rifinanziamento a lungo termine -, una crisi bancaria anche di entità inferiore a quella del biennio 2010-2012 potrebbe potenzialmente soffocare nella culla qualsiasi grido di ripresa legato ai piani della Commissione. A quel punto, navigheresti davvero a vista.

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