MADRID – 10 novembre, ore 20:00. È la nona notte consecutiva. Per la nona volta, gli uomini e le donne spagnoli tornano in Calle Ferraz, davanti alla sede del PSOE, per protestare contro Pedro Sánchez e l’amnistia per i catalani.
«Unità nazionale. Unità nazionale», gridano in coro. Un ragazzo mostra un cartello: «Il Psoe si inginocchia. La Spagna si solleva». Il fischio si alterna al canto.
Ce ne sono migliaia: uomini, donne, bambini, intere famiglie. La protesta attraversa generazioni e partiti politici. C’è il presidente della fondazione Denaes, costola di Vox, Ivan Velaz. Dice: «Abbiamo bisogno uno sciopero generale che paralizza la Spagna. Protesterà ogni giorno. Dobbiamo combattere contro questi tiranni.” In Calle Ferraz anche i socialisti alzano la voce. Jesús, 73 anni, commenta: «Ero iscritto a un partito di sinistra, ma basta. Ho solo nomi negativi per Sánchez. Abbiamo bisogno della Meloni in Spagna».
Le parole di Carmen risuonano da un mini altoparlante. Lei urla: «Puigdemont in prigione. Puigdemont in carcere.” E poi ripete le voci in sottofondo: «Polizia Uni-sci-ti. Polizia Uni-sci-ti”. Parla con orgoglio dei ragazzi in prima fila, incollati per ore davanti alle transenne. Spiega: «Qui è tutto tranquillo, non c’è violenza. È un movimento di ragazzi e ragazze di 20-25 anni al quale aderiamo anche noi più grandi (lei ha 69 anni ndr). È emozionante.” Poi con il dito indica un cartello all’angolo. «Sánchez qui ci sono anche i socialisti ma non quelli ladri». Questi sono i socialisti che sono stanchi di Pedro Sánchez”, sottolinea.
Vicino, Teresa, 77 anni, ci mostra con orgoglio il fischietto al collo e la bandiera sulle spalle. Dal primo giorno delle proteste non è mancata una sola manifestazione: «Scendo in piazza tutti i giorni, questa sera mi ha accompagnato anche mio marito, solitamente resta a casa. Sono una donna che difende lo Stato di diritto e ciò che sta accadendo non è affatto giusto.”
Lui annuisce Inés, 63 annimentre spiega cosa la motiva a tornare a Ferraz ogni giorno: «Abbiamo un presidente tutto esaurito che vuole dividere la Spagna come i Balcani. E a 16 anni ero uno di quelli che scendevano in piazza per far approvare la Costituzione, allora ero socialista. Ora? Lascio il PSOE e voto PP». Inés deve alzare la voce per farsi capire. I canti, scanditi dalle bandiere che sventolano nell’aria, non si fermano: «La Spagna non è 51 (come il numero delle province ndr)”. «La Spagna è di tutti». “La Spagna si difende, non si vende”.
«Quarantotto ore prima delle elezioni Sánchez aveva detto che non avrebbe dato l’indipendenza e poi ha fatto il contrario. È una frode elettorale”, dice María José, 40 anni, prima di ripetere, come se leggesse quasi la stessa cosa, la frase scritta su uno striscione: «Sánchez traditore».
Un gruppetto di giovani appare a pochi metri da lei. Maria, 23 anni, dichiara: «Non vado alle manifestazioni, ma questa volta è necessario. L’amnistia è incostituzionale.” «Adesso basta, siamo arrivati al limite», ammette Carlos, 21 anni. Sopra la sua testa sventola una bandiera senza il vero simbolo perché, spiega, la monarchia non lo rappresenta.
All’incrocio della strada, una coppia si abbraccia all’interno della bandiera spagnola. Rimane in una bolla di silenzio all’interno della massa. Il disgusto resta nelle espressioni di molti. Nelle braccia incrociate di molti, il segno dell’amarezza. Esther, 48 anni, non allarga i capelli durante l’intervista. Lei dice: «L’altra figlia stasera manca perché lavora ma io sono qui con tutta la famiglia. Ha 11 anni e deve sapere cosa sta succedendo perché non è normale: fare accordi con certi partiti per restare a Moncloa non è normale». Martina, la figlia più piccola, sorride. Anche lei, come sua madre, ha le mani incrociate : “Mi piace la politica e tutto questo non mi sembra giusto”. Suo padre la guarda con un certo orgoglio. Poi Esther aggiunge: «I miei genitori scesero in piazza per protestare contro il fascismo e allora non c’erano i social media . Oggi siamo invitati alle manifestazioni anche grazie a Internet, c’è il passaparola virtuale, quindi non basta più restare a casa e vedere gli altri alzare la voce. Dobbiamo scendere in piazza perché riguarda tutti noi. E ci saremo anche domani.”
I l 12 novembre ore 12 organizzato il Partido Popular manifestazioni in tutti i capoluoghi delle province della Spagna. Lì, ha detto il presidente del PP Alberto Núñez Feijóo, si ricorda che “siamo una democrazia e uno stato di diritto”. A Madrid si raduna la folla contro l’amnistia Porta del Sole. A Barcellona, il segretario generale di Vox, Ignacio Garriga, convoca tutti alle 12 Piazza San Giacomo. Solo pochi giorni fa, il leader di Vox Santiago Abascal aveva precisato che l’accordo tra PSOE e Junts apre una nuova fase nel Paese: «Inizia un periodo buio nella storia della Spagna. È stato lanciato un colpo di stato contro la nazione. Cominciamo uno Resistenza civile che sarà lungo e con un solo finale: o il dittatore sul banco degli imputati oppure noi che ci opponiamo al golpe in prigione.”
Quando esplode il primo petardo in Calle Ferraz, diversi manifestanti abbandonano la protesta. Dopo le 22 un piccolo gruppo lancia bottiglie di plastica e vetro, fumogeni e lanciarazzi contro la polizia. Intanto molti sono arrivati al Congresso con le tende passare la notte davanti al Parlamento spagnolo. La tensione aumenta con il passare delle ore. In tarda serata gli agenti hanno arrestato almeno nove persone. Un ristoratore lascia da parte l’ottimismo: “Domani potrebbe andare peggio dei giorni scorsi”.