Quattordici miliardi di deficit per finanziare la prossima manovra di bilancio. Quanto basta per coprire sia il taglio del cuneo contributivo per i redditi fino a 35mila euro, avviare la riforma dell’Irpef con l’accorpamento delle prime due aliquote sia finanziare il rinnovo dei contratti pubblici. Una manovra, quella delineata dalla Nadef approvata ieri dal governo, “anticiclica”, come sottolineato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
Il tutto cercando comunque di tenere sotto controllo il debito, che scenderà l’anno prossimo al 140,1% rispetto al 141,4% previsto ad aprile (per poi scendere nuovamente al 139,6% nel 2026 contro una precedente previsione che prevedeva il 138%). Nonostante il deficit, che l’anno prossimo potrà salire al 4,3%, rispetto al 3,6% previsto dalla legislazione attuale, la politica fiscale del governo rimane nel complesso “prudente”. Ma la strada che fino a pochi giorni fa sembrava decisamente stretta per contenere le misure del governo ora si è allargata. Giorgia Meloni ha espresso soddisfazione «Stiamo lavorando», ha detto, «per scrivere una manovra economica all’insegna della serietà e del buon senso. E che manteniamo gli impegni presi con gli italiani: basta con gli sprechi del passato, tutte le risorse disponibili saranno destinate al sostegno dei redditi più bassi, al taglio delle tasse e all’aiuto alle famiglie”. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha difeso la La decisione del governo di “superare” il limite del 3% del deficit. Il testo di Nadef è stato immediatamente inviato alla Commissione.
Come la prenderà l’UE? “Capiranno la situazione”, ha detto Giorgetti, “come la capiscono tutti i miei colleghi ministri delle Finanze europei che gestiscono una situazione di rallentamento economico”.
Tuttavia, dato il maggiore deficit, la revisione della spesa sarà rafforzata. I tagli alla spesa saliranno a 2 miliardi. Se i ministri non risparmiano quanto previsto, ci penserà direttamente il Tesoro ad abbassare la forbice sui bilanci. E ci saranno anche privatizzazioni. Giorgetti, riferendosi alla vendita del pacchetto Mps al Tesoro, ha spiegato che «l’obiettivo è attuare la politica industriale. Mps”, ha detto il ministro, “può diventare una leva per costruire un polo bancario forte, non serve fare cassa subito, da qui le valutazioni che farà il ministero dell’Economia”. Tornerà anche il “bonus Maroni”, l’incentivo per chi può andare in pensione ma decide invece di continuare a lavorare, riceverà in busta paga i contributi che avrebbe dovuto versare all’Inps, come già deciso nel caso di Quota 103, dove però ci sono voluti nove mesi per ottenere il via libera del Previdenza Sociale. Per il resto, il Nadef prende atto del rallentamento dell’economia. Il prodotto interno lordo quest’anno non andrà oltre lo 0,8%, l’anno prossimo aumenterà dell’1,2% (contro l’1,5 previsto ad aprile) grazie al misure del governo senza le quali si fermerebbe invece all’1%.Il deficit, anche per il 2023, invece “esplode” salendo al 5,3%, per poi ricadere al 4,3% nel 2024. La colpa, dice il governo, è del Superbonus.
L’IMPATTO
Il 110% avrà un impatto negativo sulle finanze pubbliche. In sua assenza, fanno trapelare fonti di Palazzo Chigi, il debito sarebbe sceso di un punto percentuale all’anno. I bonus edilizi, quindi, comportano, come spiegano le stesse fonti, un aumento sostanziale del fabbisogno pubblico nel corso dell’intera legislatura, riducendo i margini di manovra per finanziare gli interventi a favore dell’economia reale e delle famiglie. Un Superbonus che intanto si avvia verso l’archiviazione definitiva. Ieri sono stati respinti tutti gli emendamenti al decreto “patrimonio” che proponeva una proroga per le opere finanziate al 110 per cento. Almeno per ora, quindi, il termine ultimo per la conclusione dei cantieri resta il 31 dicembre. Si prevede inoltre che il tasso di disoccupazione diminuirà dal 7,6% nel 2023 al 7,3% nel 2024.
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