“Vendetta” recita un manifesto attaccato al cartello stradale che indica l’ingresso a Eli, insediamento israeliano in Cisgiordania 30 chilometri a nord di Ramallah. Tre donne armate scrutano l’orizzonte su una delle colline da cui si apre un paesaggio mozzafiato di villaggi palestinesi. «Quelli senza tetti rossi sono tutti arabi. Davanti a noi c’è Qaryut ed è controllata da Hamas” spiega Svietka, una delle madri che si occupa della sicurezza dell’yishuv insieme alla brigata di riservisti israeliani insediata dopo il 7 ottobre. I giovani sono stati tutti schierati a Gaza e solo le donne sono rimaste a proteggere le mille famiglie ebree che convivono in sette quartieri distribuiti su quasi 6.300 dunam di territorio. Una circostanza paradossale considerando che l’insediamento fiore all’occhiello fondato nel 1984 e che conta più rabbini per metro quadrato di ogni altro in Cisgiordania, c’è Bnei David, l’accademia pre-militare e teocratica che dal 1988 forma l’élite religiosa delle forze armate israeliane.
La rivoluzione
Qui ogni anno si diplomano 100 giovani, tutti di origine sionista, la metà dei quali entra a far parte del corpo degli ufficiali. La scuola è alla guida della rivoluzione religiosa che sta attraversando l’esercito israeliano ed è considerata un trampolino di lancio per i giovani coloni ebrei che vogliono scalare le vette dell’establishment militare. Sostenuto dal governo con stanziamenti di 3,5 milioni di euro all’anno, annovera tra i suoi ex studenti il generale di brigata Avi Bluth, comandante della divisione Giudea-Samaria, i capi delle brigate Givati ed Efraim nonché consiglieri di Bezalel Smotrich, Ministro delle finanze e ministro “aggiunto” della difesa con poteri speciali nella gestione dei territori palestinesi occupati. Qui però non si parla proprio di occupazione, anzi. Secondo Svietka «l’espressione Cisgiordania non ha alcun significato. C’è una mappa e c’è un fiume, il Giordano, a delimitare ciò che è Israele. Può non piacerti, ma è geografia». Concorda il sindaco Ariel El-Maliach: «Il nostro non è un insediamento perché equivarrebbe a dire che siamo in un luogo che non ci appartiene. Siamo in Giudea e Samaria e prima della costruzione del Primo Tempio di Gerusalemme, il tabernacolo si trovava a pochi passi di distanza, a Silo. È la Torah, o Dio, che ci dice che siamo esattamente dove siamo destinati ad essere.”
La missione
Secondo la visione messianica dei moderni ultraortodossi di Eli, il popolo ebraico «non viene scelto perché è migliore, ma perché ha una missione diversa dagli altri, che può essere sintetizzata nel principio Tiqqun Olam, ovvero riparare il mondo». La convinzione è che Israele sia scelto da Dio per “portare la luce dove ci sono le tenebre”. Non solo. Anche quello che qui viene descritto come il “mini-olocausto” del 7 ottobre avrebbe una spiegazione religiosa. Secondo Edna, la bibliotecaria, «non è un caso che quando ci siamo divisi al nostro interno, perdendoci in inezie come la politica e la giustizia, abbiamo dimenticato la nostra missione. Il male è arrivato perché la nostra moralità si è corrotta. Ecco perché adesso, anche se i miei figli stanno combattendo, sono quasi sollevato che sia arrivata la guerra. Era da tempo che non sentivo tutta questa unità della nazione ebraica.” Del resto.
Guerra
Secondo Ariel, questa guerra sarà l’occasione per Israele “che è l’Occidente all’ennesima potenza” per dare risposte al mondo intero su come combattere il terrorismo, “proprio come faranno gli Stati Uniti con l’Iran”. All’uscita, un appaltatore della sicurezza palestinese è di stanza in quota. Alla domanda su come sia possibile che ci siano arabi dediti alla sicurezza del luogo, Edna risponde «Vogliono continuare a lavorare per noi e fino a due settimane fa erano 300 ad aiutarci nella costruzione delle prossime unità abitative. Costano meno. Ma ora li abbiamo cacciati tutti”. Guardando Eli allontanarsi è difficile avere dubbi sul futuro delle tensioni di questa terra. “Questo è solo l’inizio. Abbiamo grandi progetti per la nostra espansione”, è stato il saluto di Svietka.
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