quindi il virus ha impiegato più tempo a colpire

Le chiusure delle aree violentemente attaccate dal coronavirus sono arrivati ​​con dieci giorni di ritardo. Il Comitato tecnico scientifico aveva chiesto limiti più severi per le regioni settentrionali già dal 28 febbraio. Torniamo a quel giorno, è un venerdì. Per più di una settimana, l’Italia ha capito che il nemico non è più così lontano. Il Nord è stato travolto dall’onda del Covid a partire dal 20 febbraio, quando si trova al pronto soccorso di Codogno, nella provincia di Lodi, il “paziente” si trova, quasi per caso, in gravi condizioni a causa di una polmonite forte e misteriosa. Allo stesso tempo ci sono i due infettati Vo ‘Euganeo, nel Venetoe incendi SARS-CoV-2 si estende verso nord Bergamoa ovest in Piemonte, a sud nella provincia di Piacenza. Alla fine di febbraio, vengono spediti circa 800 nuovi casi al giorno. Il silenzio di venerdì è già finito, è già in tempesta.

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Il documento

Il 28 febbraio, il Comitato tecnico scientifico scrive, in uno dei documenti ufficiali decretati grazie all’iniziativa della Fondazione Einaudi: “Le regioni dell’Emilia-Romagna, della Lombardia e del Veneto presentano una complessa situazione epidemiologica in attesa della circolazione del virus, come richiedere il proseguimento di tutte le misure di contenimento già adottate, opportunamente riviste come segue “. Il documento elenca una serie di misure aggiuntive da adottare immediatamente: «Chiusura di tutte le attività commerciali» in assenza di interventi organizzativi che consentano il mantenimento della distanza di un metro; “Sospensione di tutti gli eventi organizzati e non ordinari in luoghi pubblici e privati, compresi eventi culturali, ricreativi, sportivi e religiosi, anche se tenuti in luoghi chiusi ma aperti al pubblico (grandi eventi, cinema, teatri, discoteche e religiosi cerimonie) “. Ancora: fermati a scuola e all’università.

In effetti, per le tre regioni settentrionali maggiormente colpite nella fase iniziale dell’infezione, il CTS richiede una serie di misure immediate, molto simili a quelle del blocco; il coordinatore Miozzo, il presidente dell’ISS Brusaferro, Maraglino, Locatelli, Dionisio, Coccoluto, Ricciardi, D’Amario, Ippolito hanno preso parte all’incontro del 28 febbraio. Gli interventi per fermare l’infezione, soprattutto nelle aree più in crisi del Lodigiano, del Bergamasco, del Piacentino e di una parte del Veneto, verranno comunque un po ‘alla volta.

Il primo ministro, Giuseppe Conte, passano circa dieci giorni e l’8 marzo firma il Dpcm che prevede limitazioni sui viaggi in Lombardia, province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro-Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio -Ossola , Vercelli, Padova, Treviso e Venezia. Passerà alla storia come la notte della grande fuga, dell’immagine dei tanti fuori sede che fuggono dalla Lombardia per raggiungere il Sud prima della pubblicazione del decreto. Dall’8 marzo (il blocco sarà solo 11) sono vietati eventi sportivi e competizioni, cinema, teatri, discoteche e sale da bingo sono chiusi. Fermati nei musei e nelle università, nei negozi se il contatore non è garantito; bar e ristoranti possono funzionare dalle 6 alle 18. Se la richiesta CTS fosse stata prontamente risposta, alcuni focolai, che causano morte e sofferenza, sarebbero stati evitati. Alzano e Nembro, nel Bergamasco, a quei tempi stanno già diventando due dei comuni più colpiti in Italia.

Un altro esempio: alla fine di febbraio il presidente delle Marche, Luca Ceriscioli, preoccupato per i primi casi a Pesaro, chiude le scuole, il governo reagisce irritato e minaccia di contestare l’ordinanza. L’incertezza del limbo tra il 28 febbraio e l’8 marzo è un doloroso buco nero, tenendo conto del fatto che l’Italia è stata la prima nazione occidentale ad affrontare il nemico sconosciuto, Covid-19.

Ultimo aggiornamento: 00:45


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