Rete di telecomunicazioni, il governo chiama e Tim risponde: “Sospensione della vendita al fondo statunitense, un mese per trovare l’accordo con Cdp”

Complice il Covid e aiuti comunitari, la nazionalizzazione di rete telefonica è a un passo dal diventare realtà. Questo è ciò che emerge molto chiaramente alla fine di una giornata di negoziati convulsi tra L’esecutivo, investitori e Compagnie telefoniche chi sarà coinvolto nell’operazione. Telecom, che possiede al momento la vecchia infrastruttura privatizzata insieme al direttore, prima di tutto.

Il governo ha infatti scoperto le carte, chiedendo formalmente all’ex monopolista congelare la vendita di parte dell’infrastruttura a fondo di investimento Kkr, con l’obiettivo di mettere in pratica la creazione di un’unica rete con il contributo del concorrente pubblico Fibra aperta. Tim da parte sua ha accolto con favore la proposta dell’esecutivo, rinviando la decisione sulla proposta del fondo americano alla prossima 31 agosto.

La richiesta di Roma, inoltre, è un’occasione più unica che rara, non solo per il fatto che lo Stato si sta preparando a investire in ciò che aveva venduto trenta anni fa per qualche lire, ma anche perché il gruppo delle telecomunicazioni aveva da tempo compreso il bisogno di collaborare con Fibra aperta per averne creato uno rete singola, raggiungere il duplice obiettivo di eliminare un concorrente e ottimizzare gli investimenti.

Resta da vedere con quali risultati e a quali costi per il contribuenti, per operatori alternativi, per i piccoli fornitori e anche per i consumatori. Il budget per le casse pubbliche è già pesante oggi. Quasi due anni fa, Cassa depositi e prestiti ha iniziato ad acquistare titoli dell’ex monopolio investendo nel tempo oltre 800 milioni per il 9,89% di Telecom.

Oggi vale la partecipazione circa 540 milioni. In pratica, il braccio finanziario dello stato, che detiene centinaia di miliardi di risparmi postali, ha perso quasi 300 milioni. Oggi, infatti, Telecom conta in borsa solo 5 miliardi. Una cifra estremamente piccola se consideriamo il tutto Fibra aperta, controllato da Enel e lo stesso CDP, vale circa 7 miliardi secondo il fondo australiano Macquarie. Somma quel secondo Bloomberg, significa un potenziale guadagno di vendita per Enel di 1,6 miliardi.

Non è un caso che negli ultimi sei mesi, nonostante l’impegno del management a ristrutturare il gruppo, il titolo Telecom abbia perso il 28% del suo valore. Naturalmente, anche altri operatori hanno sofferto sul mercato azionario. Durante lo stesso periodo Vodafone ha lasciato circa il 22% sul terreno, ma rivali come i francesi Iliade invece hanno dimostrato che le telecomunicazioni rimangono un vero affare: in sei mesi l’azienda creata dal miliardario Xavier Niel è aumentato del 59 percento.

È quindi chiaro come, tra margini stretti e a debito monstre, l’ex monopolista punta a terminare il gioco in rete entro l’estate. L’obiettivo della società, che ha registrato ricavi e margini di profitto nel secondo trimestre, è quello di assumere il controllo di una nuova società nella rete che include anche Open Fiber.

A livello operativo, il progetto prevede la liquidazione di Enel, con Cdp che diventa azionista unico in Open Fiber. Successivamente l’azienda guidata da Elisabetta Ripa sarebbe venduto alla società di rete, controllata da Telecom in cambio di azioni dell’ex monopolista. Se l’operazione dovesse andare a buon fine, Cassa Depositi e Prestiti aumenterebbe la propria quota in Telecom. Probabilmente non oltre la soglia dell’offerta pubblica, il 30%, una partecipazione che vale la pena sul mercato circa 1,6 miliardi.

Il risultato è che, dopo aver pagato un miliardo per il 9,89% dell’ex monopolista, Cdp perderebbe il controllo diretto di Open Fiber e si ritroverebbe ad essere il primo partner Telecom che ha circa 26 miliardi di debito netto e uno staff probabilmente sovradimensionato rispetto alle prospettive del gruppo. Per l’ex monopolista e i suoi creditori sarebbe senza dubbio un’operazione vincente che, tuttavia, oltre a pesare sui fondi pubblici, avrebbe anche un impatto sul futuro sviluppo della rete.

Non a caso il Parlamento vota una mozione in cui si schiera a favore di una rete almeno con la maggioranza del capitale, neutrale e gestita da una persona che non vende anche servizi telefonici. Innanzi tutto, il pesante investimento di CDP potrebbe essere visto da Bruxelles come un aiuto di Stato. In secondo luogo, a un prezzo elevato riporterebbe l’orologio prima della privatizzazione degli anni ’90 che ha letteralmente distrutto la fiorente industria delle telecomunicazioni italiana. Ma il peggio è che ripristinerebbe a monopolio sulle infrastrutture rete affidata a una società privata, sebbene di proprietà dello stato. E con una prevalenza di azionisti stranieri.

Nella storia delle telecomunicazioni italiane, e non solo, è stato anche dimostrato che il monopolio non incoraggia gli investimenti e stabilisce le condizioni per un aumento dei prezzi di affitto della rete. Di conseguenza, esiste il rischio che gli operatori alternativi, i piccoli fornitori, che inevitabilmente verranno scaricati sui clienti, vengano penalizzati l’aumento dei costi di noleggio della rete. Quindi, alla fine, i cittadini pagheranno il doppio del salvataggio di Telecom: con i soldi di CDP e di tasca propria direttamente sul conto. Resta da vedere quale sarà la portata e la forma dell’intervento comunitario nell’operazione grazie ai fondi per la digitalizzazione del Fondo di recupero.

Supporta ilfattoquotidiano.it: mai come adesso
abbiamo bisogno di voi.

In queste settimane di pandemia, noi giornalisti, se facciamo il nostro lavoro con coscienza, svolgiamo un servizio pubblico. Questo è anche il motivo per cui ogni giorno qui su ilfattoquotidiano.it siamo orgogliosi di offrire centinaia di nuovi contenuti gratuitamente a tutti i cittadini: notizie, approfondimenti esclusivi, interviste con esperti, sondaggi, video e molto altro. Tutto questo lavoro, tuttavia, ha un grande costo economico. La pubblicità, in un’epoca in cui l’economia è stagnante, offre entrate limitate. Non in linea con il boom dell’accesso. Questo è il motivo per cui chiedo a coloro che leggono queste righe di supportarci. Per darci un contributo minimo, pari al prezzo di un cappuccino a settimana, fondamentale per il nostro lavoro.
Diventa un utente di supporto cliccando qui.

Grazie
Peter Gomez

Ma ora siamo noi quelli che hanno bisogno di te. Perché il nostro lavoro ha un costo. Siamo orgogliosi di poter offrire centinaia di nuovi contenuti ogni giorno gratuitamente a tutti i cittadini. Ma la pubblicità, in un’epoca in cui l’economia è stagnante, offre entrate limitate. Non in linea con il boom dell’accesso a ilfattoquotidiano.it. Per questo ti chiedo di supportarci, con un contributo minimo, pari al prezzo di un cappuccino a settimana. Una piccola ma fondamentale somma per il nostro lavoro. Aiutaci!
Diventa un utente di supporto!

Con gratitudine
Peter Gomez


Sostieni ora


Pagamenti disponibili

We will be happy to hear your thoughts

Leave a reply

Galileus Web